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Un 2025 sugli scudi per Piazza Affari
16 December 2025#WeeklyWatch

Un 2025 sugli scudi per Piazza Affari

L’anno che si avvia a conclusione cementa la riscossa dell’azionario italiano. Trascinato dalle banche, il Ftse Mbi si lascia alle spalle gran parte dei benchmark internazionali e supera le difficoltà di lusso e automotive. E ora può essere il turno delle small cap.

Dopo alcuni decenni, trascorsi in coda alla classifica dei ritorni azionari, vittima del declino dei principali gruppi industriali domestici e della crisi del settore bancario, il mercato italiano si appresta a chiudere un triennio che lo ha qualificato invece come una delle migliori destinazioni possibili per gli investitori in azioni globali. Nei tre anni chiusi il 4 dicembre 2025, l’indice FTSE Italia All-Share ha generato un ritorno totale (dividendi inclusi) del 101%, equivalente al 26% medio annuo.

Per un raffronto, basti osservare che nello stesso periodo le azioni globali (indice MSCI in euro) hanno prodotto un pur brillante 16% medio annuo, le azioni europee (Stoxx 600) il 13%, le azioni americane (S&P 500) il 21% (fonte: Bloomberg). Il 2025, in particolare, si sta chiudendo con un eclatante +33% (dividendi inclusi, al 4 dicembre), guidato da Telecom Italia, Iveco e Banca Popolare di Sondrio (la prima con una reazione, finalmente, dopo l’ininterrotto calvario che dal massimo superiore ai 9 euro del 2000 l’aveva trascinata sotto i 20 centesimi di euro nel 2022, le altre due grazie alle offerte di acquisto di cui sono state oggetto).

Sette dei migliori quindici titoli sono banche. Unicredit, dopo cinque anni di ritorno medio annuo totale per l’azionista superiore al 60%, supera i 100 miliardi di capitalizzazione di borsa e sopravanza Intesa, coronando una lunga rincorsa: solo tre anni fa la capitalizzazione di Intesa era 1.6 volte quella di Unicredit. I settori più deboli sono stati quello automobilistico (Stellantis), quello del lusso (Ferrari, Brunello Cucinelli: in entrambi i casi il 2025 rappresenta il peggior anno dalla quotazione in borsa in termini di ritorno per gli azionisti) e quello legato alla cura della salute (Diasorin, Amplifon). Merita di essere osservato che un triennio così forte colloca il ritorno medio annuo generato dall’indice italiano nell’ultimo decennio vicino all’11%: nettamente migliore dell’8% circa proprio delle azioni europee e di quelle dell’area dell’euro in particolare (fonte: Bloomberg). Nel decennio, limitandosi ai 40 titoli maggiori, i migliori risultati per l’azionista si devono a Unipol, Brunello Cucinelli e Poste Italiane, i peggiori a Telecom Italia, Saipem e Monte dei Paschi.

All’origine di un risultato così forte si colloca l’eccezionale ritorno prodotto dal settore bancario. Il ritorno totale del 318% nel triennio (61% medio annuo) spiega infatti un’enorme parte del risultato complessivo: oggi (fonte: Bloomberg) il peso delle banche tradizionali sull’indice generale è superiore al 35% (Unicredit e Intesa Sanpaolo da sole incidono per il 28%). Le origini di tale risultato sono ormai note e vanno fatte risalire in primo luogo alle valutazioni estremamente compresse che il mercato attribuiva alle banche dopo i dissesti seguiti alla grande crisi finanziaria, cui si aggiunse l’impatto negativo del lungo periodo spesso definito di “repressione finanziaria” (tassi a zero) che ne conseguì. In secondo luogo, la risalita dei tassi di interesse con il massiccio effetto sul margine di interesse bancario ha creato le condizioni per un vertiginoso incremento dei profitti (la classica “marea che solleva tutte le barche”) cui le valutazioni si sono adeguate.

Come accade sempre all’approssimarsi di un nuovo anno viene ora spontaneo chiedersi se queste tendenze siano destinate a proseguire. “Le previsioni sull’andamento dei mercati finanziari non rientrano nel nostro specifico bagaglio di competenze”, ricorda Nicola Ricolfi, co-responsabile insieme ad Alessandro Michahelles delle gestioni in titoli di Banca Generali e portatore di una lunga esperienza di investitore in azioni domestiche.

Tuttavia, in termini generali e guardando le cose alla lunga, è importante osservare che il rapporto tra la valutazione che il mercato azionario riconosce al patrimonio delle banche tradizionali e la redditività dei mezzi propri che il settore ora esprime pare avere raggiunto un livello di equilibrio dopo l’ultimo, esplosivo triennio. Tale ritrovato equilibrio potrebbe riflettersi in un andamento borsistico del settore meno estremo rispetto a quello medio”. 

In quali altre direzioni potrà quindi orientarsi un investitore guidato dai fondamentali? “In generale tutta l’area delle capitalizzazioni minori è reduce da un lungo purgatorio quanto a performance di borsa.” ricorda Ricolfi, osservando come l’indice del segmento Star, che nel decennio 12-22 aveva remunerato gli azionisti con una media annua superiore al 18%, ben oltre il doppio rispetto al mercato generale, negli ultimi tre anni abbia invece generato un misero 4% medio annuo, che sparisce a fronte del 26% circa dell’indice All-Share.

È verosimile che questo comparto, storicamente un punto di forza indiscutibile per l’economia italiana e, di conseguenza, ricco di opportunità per gli investitori, possa recuperare la dignità che il mercato gli ha negato negli ultimi tre anni. Si tratta di un segmento che richiede conoscenze specifiche approfondite delle singole società, ma che affrontato con la necessaria disciplina e selettività è forse pronto a tornare protagonista”.

 

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